Questo aneddoto mi è piaciuto, e lo prendo come spunto, perché mi ha fatto pensare al concetto di “crescita inclusiva”.
Si tratta di una definizione molto attuale, benché tragga origini ben più profonde, in quanto ha a che fare con la persona.
Nel mondo industriale che sta cambiando, ciò che non dovrà mai mancare sono le persone. Le aziende potranno pure usufruire dell’assetto tecnologico più avanzato realizzando i migliori processi produttivi, ma è imprescindibile l’inclusione di ogni singolo individuo.
Bisogna respingere il dogma di dover lavorare per vivere. La produzione trarrà i dovuti frutti in maniera direttamente proporzionale alla occupabilità delle risorse umane nel ciclo produttivo.
Se vogliamo beneficiare dei vantaggi della tecnologia, pertanto, sarebbe necessario ridistribuire il denaro, formare meglio i lavoratori e rendere più agevoli gli orari di lavoro.
Alla luce della progressiva modifica dei criteri non soltanto occupazionali, ma anche imprenditoriali di un’industria in costante mutamento, nel corso degli anni, molti fattori hanno contribuito a modificare l’atteggiamento e le aspettative delle persone nei confronti dello sviluppo e della professione. Si è verificato, cioè, un tendenziale accrescimento delle aspettative nei confronti del proprio lavoro (anche in virtù di una accessibilità più ampia e più libera da parte di uomini e donne), ed una una crescente esigenza di autonomia e discrezionalità, che ha accresciuto l’importanza assegnata alla qualità della vita ed al bilancio del rapporto vita-lavoro.
La crescita inclusiva consiste nello sviluppo di competenze ed abilità relazionali che incidano in maniera eterogenea, ma oculata, sulla capacità produttiva di ciascuno.
Pensiamo per un attimo ad uno spostamento orizzontale, anziché verticale, delle risorse umane all’interno di un’azienda. Quale sarà, in tal caso, il vantaggio per la produttività e la crescita dell’impresa? In prima istanza si verificherà un sostanziale accrescimento delle esperienze e delle competenze dei lavoratori, migliorandone la loro “occupabilità” nel senso più versatile del termine. Detto altrimenti: se prima le persone scambiavano fedeltà verso l’azienda committente in cambio del posto di lavoro, adesso i soggetti coinvolti possono essere indotti a garantire performances elevate in cambio di apprendimento continuo ed impiegabilità più flessibile.