Stamane, sfogliando un giornale, sono stato colpito dai seguenti dati: il terremoto, nelle regioni di Marche, Umbria, Lazio ed Abruzzo, ha distrutto e danneggiato ben 990 chiese. Si tratta del centro Italia, luogo geografico particolarmente votato alla cristianità, luogo in cui nacque il monachesimo occidentale (si pensi alla basilica di San Benedetto da Norcia, purtroppo completamente crollata). In una delle sue tante interviste, Sergio Pirozzi ha dichiarato che, vedendo crollare il campanile di Amatrice, ha temuto la disfatta della loro comunità. Ciò che mi viene da pensare è che le macerie delle chiese (così come quelle delle case) rappresentino quasi la sospensione del tempo lì dove lo spazio è diventato quanto mai incerto. E mi domando se tante rovine architettoniche non facciano trapelare, malgrado tutto, una singolarissima bellezza, che consiste in un forte canone estetico del dolore connotato da un profondo senso di rispetto e di conforto. Le chiese diroccate, rimaste all’aperto, a causa del terremoto, rappresentano la verticalità spirituale, quella che fa sperare e credere anche dopo la tragedia. Come a dire che queste chiese a cielo aperto producano una tensione verso l’Alto. È un senso della fede che consiste in una forte identità del popolo e del luogo. Anche questo aspetto di particolare dolore può diventare fertile terreno per la rinascita. Probabilmente, sarà necessario ricominciare proprio dalla spiritualità.