Un brivido mi ha percorso quando ho letto del progetto della “Casa degli alberi” di Renzo Piano, collocato in un bosco di rubinie. È l’emozione che mi riempie il cuore quando, scorrendo le righe dell’articolo, mi si pongono davanti agli occhi le immagini della bellezza. La purezza di una bellezza fatta di attenzione e cura. Ricorre il concetto de “L’attimo fuggente”, perché la vita scorre e guai restare indifferenti al senso della bellezza delle emozioni. Mi delizia, così, l’idea che, oggi, dopo tanta cementificazione (nelle costruzioni e nelle relazioni), finalmente si ritorni al verde. Questo colore, per antonomasia, simbolo di speranza e respiro, di natura e vita, di vegetazione e serenità. Non è un caso, dunque, che le città stiano rivalutandosi con luoghi riservati esclusivamente al prendersi cura di sé nella distensione della vegetazione. Che poi si tratti di giardini perfettamente coltivati oppure di boschi cedui, poco importa. Ciò che conta è ristabilire un contatto pieno con se stessi. È così che si ricomincia a pensare al senso della vita, degli affetti, del lavoro, e di sé nel mondo. Poi, ci si rende conto che questi pensieri appartengono al genere umano più di quanto si pensi. Perché oggi non si è abituati a pensare più di quanto, invece, si debba fare. “La casa degli alberi”, così come Renzo Piano l’ha concepita, restituisce valore a diverse connotazioni di pensiero, a cominciare proprio dalla dimensione sospesa tra terra e cielo, quando si svolge un momento esistenziale di attesa per ciò che sarà il destino. Ma non solo. Essa si inserisce al confine del rapporto uomo-scienza, nel quale, a volte, è necessaria la fede, affinché la speranza possa commisurarsi alla serenità d’animo ispirata dalla natura circostante. E, allora, mi rincuora fortemente l’idea che la scienza non debba bastare là dove la cura dell’istante della vita diventa molto più importante.